C’era sempre tanto da fare.
Passava lo straccio sul ripiano della cucina, dopo aver spruzzato la nuvola di Galax. Facevano una bella pubblicità in cui i ripiani più sporchi di grasso venivano lindi come un’aurora, come l’aurora stampata sul contenitore, e così aveva deciso di provarlo. Passava lo straccio sul ripiano e pensava che sì, sembrava pulito. Ma era pulito?
Una nuvola sul piano cottura, prima con tutte le griglie e i fornelli al loro posto, una nuvola preventiva, un annuncio dell’alba che sarebbe seguita. E poi via, le griglie nel lavabo – un lavabo doppio, in alluminio, in una vasca si lava nell’altra si sciacqua e poi uno straccio per asciugare e via, al loro posto nel mobile tutte le stoviglie, una per una – le griglie nere nel lavabo e poi i fornelli, uno per uno, da ripassare dopo con la spugna abrasiva, ma quella leggera, che non graffi lo smalto. Dare il tempo al prodotto di sciogliere il grasso – eppure non c’era grasso, nessuna traccia di grasso su nessuna griglia e su nessun fornello – e intanto una passata con lo straccio pulito sul ripiano, che sembrava pulito, ma era pulito? Una seconda nuvola sul piano di cottura, e via con la spugna abrasiva, quella leggera però che i graffi nello smalto sono quelli in cui si annida lo sporco, sono quelli che possono arrugginire – nessuno le aveva detto che l’alluminio non arrugginisce. Lo scroscio dell’acqua nel lavabo accompagnato dallo sfregare della spugna sui fornelli, uno per uno, via nella seconda vasca, in attesa della seconda risciacquata e dello straccio, le griglie ora. Occorre saperle fare le cose.
C’era sempre molto da fare. Pensano che tenere pulita la casa non sia un lavoro solo quelli che pagano una donna di servizio. Ma tenere pulita la casa è un lavoro a tempo pieno, c’è sempre così tanto da fare.
La cucina splendeva finalmente, i ripiani e le antine luccicavano mentre le asciugava con il panno pulito. Prima la spugna – ma non quella abrasiva, mai sui mobili quella abrasiva, solo quella morbida – per passare il prodotto e poi lo straccio pulito per asciugarlo. Le antine riflettevano il sole del mattino e i fornelli e i ripiani scintillavano e il lavabo d’alluminio era stato asciugato e non c’erano graffi né ombre da nessuna parte, quindi poteva passare al soggiorno.
C’era da fare la polvere, la polvere per prima cosa, perché è inutile passare l’aspirapolvere sul pavimento se prima non spolveri tutti i ripiani e i mobili, perché quando lo fai la polvere si alza – per quanto delicatamente tu lo faccia, per quanto sul panno tu abbia spruzzato il mangiapolvere, per quanto ostinatamente tu lo faccia, la polvere si alza lo stesso e ricade, ricade dappertutto e soprattutto e anzitutto al suolo. Faceva la polvere quando il telefono riprese a squillare. Chiamano sempre quando stai lavorando, e lei preferiva lasciarlo suonare, perché magari avrebbero desistito, ma il trillo continuava e lei pensava dovrei staccarlo, dovrei staccare quel telefono, ah sì dovrei staccarlo e prima o poi lo faccio.
– Pronto?
Una esitazione dall’altro capo – Buongiorno signora Villanova, sono Paolo, potrei parlare con Silvia?
– No Paolo, Silvia non sta bene, ora non può venire al telefono.
– Mi dispiace che stia ancora male Signora, ma che cos’ha?
– Ora devo riattaccare Paolo, sto pulendo casa, ho molto da fare.
Chiamano sempre quando stai lavorando. Tutti questi ragazzi poi, Paolo, Stefano, quell’idiota di Mirko persino. Mia figlia è una brava ragazza, non dovrebbe avere tutti questi ragazzi attorno una brava ragazza. Dove ero rimasta? Guardava il panno nella mano destra, senza vederlo. D’improvviso lo sguardo le si era annebbiato, velato di polvere o forse di paura, restava immobile in piedi nel soggiorno. Poi si scosse, la polvere, la polvere, va sempre fatta la polvere per prima cosa.
Aveva passato l’aspirapolvere, aveva soffiato il prodotto per lucidare il legno sui mobili e i ripiani e il tavolino e li aveva lucidati, aveva pulito le antine di vetro del mobile con il prodotto per il vetro, nessun alone, aveva assodato controluce. Aveva passato la spazzola apposta sulle federe del divano. Ora poteva passare alla camera da letto.
Stava sistemando gli angoli del copriletto quando il telefono tornò a squillare. Attese, lisciando le federe dei cuscini, ma quello non smetteva. Dovrei staccarlo, dovrei staccare quel telefono, ah sì dovrei staccarlo e prima o poi lo faccio.
– Pronto?
– Buongiorno signora Villanova. Sono il professor Zamboni, dell’istituto magistrale. La chiamo per sapere di Silvia, sono già due settimane che non viene a scuola e siamo tutti molto preoccupati.
– Silvia non sta bene, professore. Tornerà a scuola appena starà meglio.
– Sì signora Villanova, lo ha già detto le altre due volte che abbiamo chiamato, ma vorremmo sapere…
– Mi perdoni professore, ora ho molto da fare, sto lavorando sa?
Persino i professori ora. Persino i professori. Nessun rispetto per chi lavora. Pensano che tenere a posto la casa sia una cosa facile, per una donna tutta sola, che deve anche badare a sua figlia oltretutto. Nessun rispetto, nossignore. Il mobile era pulito, la cassettiera era pulita e lucidata, persino il telefono era pulito, con un panno aveva tolto l’alone lasciato dal suo fiato sul microfono. Ci ripensa sopra per un attimo, e con un gesto quasi distratto stacca la cornetta. Ecco, una buona volta.
Il bagno, ora. Il bagno è sempre qualcosa di speciale. Occorre prima di tutto pulire i mobili, e va bene anche lo stesso prodotto per sanitari, quello leggero, che pulisce ma disinfetta anche. Con la spugna azzurra, tutte le superfici di formica azzurrata, una per una. Restano sempre ombre di ditate, specie vicino alle maniglie. Poi la specchiera, col prodotto per i vetri. Un passaggio per pulire e poi un panno lindo per togliere gli aloni. Occorre saperle fare le cose.
Qualcuno sta suonando il citofono. Eh no, stavolta no. Questo è troppo: con tutto quello che c’è da fare. Saranno testimoni di Geova o qualcuno che vuole vendermi qualcosa. Con tutto quello che c’è da fare.
La spugna verde. La spugna verde è per il lavabo e le pareti della doccia. Uno fa la doccia e poi non pulisce le pareti, quelle diventano opache e poi sporche e non si tiene così una casa. Vanno asciugate le pareti della doccia, e vanno tenute pulite. Il fondo della doccia, togliendo il tappetino di gomma antiscivolo, che evita che si caschi nella doccia e ci si rompa la testa. Ci si rompa la testa come un melone maturo, come un martello che rompe un melone, coi pezzi che cadono sulle lenzuola e il sangue nero che vola dappertutto. Non gridare. Non gridare. Non gridare. Ora passa. È passato. Basta evitare di respirare per qualche secondo. Basta trattenere il fiato, come quando ti viene il singhiozzo. Basta trattenere il fiato in gola per qualche secondo e passa.
La spugna rosa ora, per i sanitari.
Resta solo la stanza di Silvia. Rimane ferma per qualche secondo davanti alla porta. Non le piace entrare nella stanza di Silvia, è un po’ come violare la sua intimità. Una ragazzina ha bisogno dei suoi spazi. Ma insomma, è sempre casa sua questa e sono già le dieci passate e non le fa bene restare sempre là dentro chiusa al buio. Oggi glielo dirò. Oggi glielo dirò. Oggi, sì. E così entra. Entra senza badare al disordine, è la stanza di una diciassettenne dopotutto. Ma lei entra non bada ai libri aperti sulla scrivania né alle foto sulle pareti. Non bada al poster di quel cantante mezzo nudo – osceno, quel poster è osceno – Silvia ha diciassette anni e a diciassette anni si è pazzi, non c’è niente da fare. Entra e non bada al piatto rotto rovesciato sul pavimento, dove i vermi banchettano con i resti di un dolce. Entra e non bada al cattivo odore nella stanza, è la stanza di una diciassettenne dopotutto. Entra e nemmeno guarda quel che c’è sul letto, entra e non guarda nemmeno le macchie rosso scuro che gridano dalle pareti. È la stanza di una diciassettenne dopotutto. Entra e non vede nemmeno il martello caduto sul comodino. Entra e vorrebbe aprire la finestra per cambiare almeno l’aria, ma poi pensa che forse no, deve ben imparare a tenere in ordine la sua stanza da sola. Appena si sveglierà, pensa, appena si sveglia le dirà che deve assolutamente mettere a posto la sua stanza.
Ed esce.
Rimane immobile per qualche secondo, in piedi, nel corridoio, davanti alla porta della stanza di Silvia. Sembra essersi dimenticata dove si trova, sembra guardare nel vuoto. Poi si riscuote: dov’ero rimasta?
In cucina ora, c’è sempre tanto da fare.
Stefano Re © Settembre 2009