Il sole era alto nel cielo e il vento del deserto era caldo, la tesa del cappello a gettare l’ombra sul volto ispido di barba. Avanzava sulle pietre il cavallo portandolo verso il nulla, ma a lui non importava. C’era nelle sue orecchie la canzone che aveva sentito solo tre giorni prima, fuori da un saloon. Il ragazzo era giovane e la sua chitarra cullava la sera che scendeva sul villaggio di frontiera. Con voce calda aveva cantato di lei e dei suoi capelli d’oro, degli occhi verdi come l’acqua di un fiume e del vento del sud che non smette mai di farsi sentire. Con voce calda aveva cantato dell’oro e della sabbia, delle praterie e dei bisonti. Con voce calda aveva cantato dei proiettili in una Colt, del tuono del fucile e dei riflessi dorati della stella dello sceriffo.
E lui che aveva sentito tuonare il fucile e sparato dalla sua Colt un proiettile attraverso una stella di latta, lui che aveva cacciato bisonti all’ovest e seguito tracce di indiani nelle praterie, lui che aveva cercato oro sulle montagne, lui che aveva sentito in faccia il vento del sud e carezzato capelli d’oro e baciato occhi verdi come l’acqua dei fiumi, lui che era arrivato all’ultimo villaggio al confine del deserto così stanco, lui che voleva solo fermarsi – lui era rimasto fermo, le mani sul cinturone, ad ascoltare le sue gesta cantate da un ragazzo, con voce calda, fuori da un saloon, mentre la luna attraversava un cielo pieno di stelle.
Il sole era alto e il vento del deserto era caldo, la tesa del cappello non bastava a coprire le rughe sul volto ispido di barba, ma il cavallo avanzava sulle pietre e lui mormorava la sua canzone: l’orizzonte non era mai stato così vicino.
C’era posto per qualche altra strofa.
Stefano Re © Settembre 2009
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