Archivio per agosto 2009

31
Ago
09

Syriana

Molti hanno accolto questo film come l’ennesimo lungometraggio antibush. Moltissimi poi, come l’ennesimo lungometraggio antiamericano. Tutti infine, come l’ennesimo lungometraggio che critica l’operato della CIA.
Personalmente ritengo che nessuna di queste tre attribuzioni renda giustizia a Syriana.

Prima di addentrarmi nei contenuti, vorrei fare una menzione a mio parere doverosa sul lato tecnico. Un montaggio magistrale, che sfuma senza pietà le storie una dentro l’altra approfittando di una sceneggiatura eccezionale, in cui ogni dialogo avviene dopo o prima di un punto essenziale dell’intreccio che non viene però mostrato in modo esplicito, e lo spettatore resta a dover comprendere che cosa sia appena successo o che cosa stia per accadere senza che gli venga servito su un piatto d’argento ma soltanto suggerito, come nella realtà spesso avviene quando un sospetto diventa poi un pensiero e poi una preoccupazione e infine quasi una certezza tanto che al momento in cui cala la scure sai già, già sapevi.
E poi una musica che non concede sconti né requie e sottolinea ogni passaggio senza anticipare troppo, senza dimenticare nessuna sfumatura emotiva.
Un cast veramente d’eccezione, con l’abusato Matt Damon che però regge, regge alla perfezione, un occasionale William Hurt da brividi, l’inquietante anima nera del potere Christopher Plummer e poi una lunga, lunghissima galleria di personaggi intensi e centrati tra cui non posso non citare Alexander Siddig, perfetto nel suo ruolo di primogenito scomodo dell’Emiro. E ad ultimo il tormentato e scrupoloso agente della CIA che è valso un Oscar meritato a George Clooney.

E ora, finalmente, i contenuti.
Il film racconta le storie intrecciate ed intricate di quattro personaggi: un agente della CIA, un giovane avvocato di colore, un consulente finanziario d’alto livello e un giovane immigrato pakistano nel golfo persico. Le loro vite concorrono a tracciare un disegno, anche se nessuno tra essi ha mai occasione di conoscere gli altri. Ciascuno di loro ci porta a osservare un aspetto, un lato di una situazione complessa quale è oggi il mondo in cui viviamo, ovviamente da punti di vista profondamente diversi e distanti e parziali. Ma tutti questi sguardi lasciano allo spettatore un quadro coerente, connesso, globale – in cui nulla inizia e finisce in solo angolo del mondo. Tutto riguarda tutti e cercare di controllare la situazione è una follia, una illusione. Persino per chi sembra farlo, persino per chi sembra comandare tirando le leve del potere ogni esito è fortunoso, casuale, incidentale. E tutti sono colpevoli, nessuno è salvo. Non importa se si hanno tante o poche scelte, se si è ricchi o poveri, se le intenzioni erano nobili o spregevoli: il sistema ciecamente procede nella somma di ogni fattore, di ogni spinta e alla fine nulla è cambiato – e nulla è uguale a prima.

La CIA non è il grande cattivo. Al massimo è la stupidità, la banalità del potere esecutivo al servizio di chi paga. Ma neppure l’avvocato ombra dei petrolieri è veramente il grande cattivo: è soltanto un vecchio sopravvissuto, che si pasce dei cadaveri di ideali, che segue schemi rodati, e che si spaventa e fa marcia indietro quando bussano direttamente alle sue finestre. L’agente in rivolta non sceglie un’etica, ci viene forzato coltello alla gola. Ha ucciso e fatto uccidere senza domande fino a poco prima, professionista e letale nel suo ruolo, e cade ingenuo e imbranato nel cercar di disfare quel che ha fino ad allora compiuto, finendo solo con l’aiutare chi voleva ostacolare. L’avvocato che sembrava pecora timorata si rivela leone feroce, capace di sacrificare la vita degli altri senza scrupoli, e anche lui non ha mai scelta, solo quella di farsi tagliare la testa o di impugnare a sua volta la scure. Il giovane consulente poi vive il dramma più intenso e meno profondo: creare virtuosità dal marciume, arricchirsi consigliando ciò che è giusto fare, in posizione privilegiata. Ma dover ringraziare il lutto più grande per tutto questo. Doverci perdere il nido, inseguendo un sogno che non può e non deve diventare reale, perché prima che la corona sia data c’è il fuoco a bruciare ogni cosa e lasciarlo attonito e stordito a barcollare in cerca di ciò che resta del suo passato. E forse il peggiore dei drammi raccontati, quello di chi ha già perso tutto ciò che poteva perdere, cacciato sul fondo del pozzo della sua anima a calci e senza pietà, per poi esser curato con miele e odio e imboccato pian piano ad affetto e veleno finché non è pronto a sacrificare l’unica cosa che resta di lui: una immagine in tv, che spiega cosa desidera accada al suo funerale.

Non c’è un grande cattivo. Non c’è qualcun altro cui dare la colpa, anche se tutti ne vorrebbero uno.
Tutti, siamo cattivi.
Il mondo è ciò che siamo, tutti quanti.

SCHEDA
Syriana
regia di Stephen Gaghan, anno 2005.
Personaggi e interpreti:
George Clooney – Bob Barnes
Christopher Plummer – Dean Whiting
Jeffrey Wright – Bennett Holiday
Matt Damon – Bryan Woodman
Alexander Siddig – Nasir Al-Subaai
Kayvan Novak – Arash

Syriana su IMDB [ing]

31
Ago
09

Le Vite Degli Altri

La trama, non ve la dico proprio. Voglio solo commentare, perché vederlo mi ha ricordato chi sono, cosa scrivo, cosa sento.

Il grigio cenere di divise senza speranza, in cui trasfigurare il senso dell’esistenza. Le pareti soffocanti delle stanze degli interrogatori in cui ciò che insegno viene applicato, le ore ad ascoltare la vita degli altri per farne parole che li inchioderanno, il suono – il suono dell’orchestra che non permette di restare cattivi.

Il segreto, di un nastro rosso di coraggio nascosto nel pavimento.
La fedeltà, di tradire senza tradire e amare senza parole: la verità nella bugia e la verità che diventa bugia, per salvare, per salvarsi.

Gli occhi vivi di chi ha scoperto di avere un’anima e la vuole salvare, pagandone il prezzo.

Voglio credere che sia avvenuto davvero.

SCHEDA
Le Vite degli Altri
regia di Florian Henckel von Donnersmarck, anno 2006.
Personaggi e interpreti:
Sebastian Koch – Georg Dreyman
Hans-Uwe Bauer – Paul Hauser
Martina Gedeck – Christa-Maria Sieland
Ulrich Tukur – Anton Grubitz
Thomas Thieme – Bruno Hempf

Le vite degli altri su IMDB [ing]

29
Ago
09

Erano aaanni! (Venerdì sera/notte Sabato mattina/pomeriggio)

Sentirsi soli e un po’ tristi con gli occhi di qualcun altro, consolarsi prendendo qualche zombie a fucilate e poi.. e poi semplicemente trovare la musica giusta che decide un ritmo diverso e parole sul monitor che diventano cosce calde e vive sul divano e Jack Daniels che scorre e le prime luci dell’alba che ti trovano ancora sveglio e un amico che per colazione accetta di viaggiare con te fino all’acqua, una Corona col limone e un lattementa quanto fa? Io vorrei anche una brioche. E poi teli e sole e una ragazza che ride perché no, neppure lei ha capito come funzionano queste docce assurde, e Bukowski che mi guarda il cazzo mentre piscio e amache pigre e griglia con sopra carne che gocciola sovrana la sua vita che affoga nel vino, rosso e intenso col sapore del tabacco bruciato delle Lucky Strike.

Essì, mi ci voleva proprio.

28
Ago
09

Prima di cena, con parsimonia.

Crisalide

A CHE ORE HAI INIZIATO IL TEST: 18.08

SONO: Quieto.

VOGLIO: Cinque cose. In un ordine preciso.

SENTO: Ogni cosa.

CERCO: No grazie, ho già trovato fin troppo.

PENSO SPESSO: A cose molto belle, a cose molto brutte.

MI SENTO MALE: Più che altro mi vergogno, di aver creduto in alcune parole.

BALLO: È un po’ che non mi capita, provvederò.

CANTO: Spesso, a volte persino su un palco. A proposito Valeria, quel video?

PIANGO: Ho smesso.

DOVREI: Imparare qualche nuova ricetta.

SI O NO? : È lo stesso.

TI PIACE CUCINARE: Spesso.

HAI UN SEGRETO CHE NON CONOSCE NESSUNO: Uno solo?

TI MANGI LE UNGHIE: Magari. Se non ricordo di tagliarle divento l’uomo lupo.

CREDI NELL’AMORE: È un bisogno come tanti altri. Più bastardo forse, e ci si gioca su un po’ troppo.

CHI E’?: Me stesso, quando non voglio uccidere nessuno.

LA PERSONA PIU’ STRANA CHE CONOSCI: Oddio, strano per me è un apprezzamento raro. Frank direi.

LA PERSONA A CUI SEI PIU’ AFFEZIONATO: Klara e Cristina direi, dopo i miei gatti.

LA PERSONA PIU’ LONTANA: Quella più vicina.

LA PERSONA PIU’ LENTA: Non frequento persone lente.

LA PERSONA PIU’ INCASINATA CHE CONOSCI: Siamo tutti incasinati, la gran parte preferisce fingere di non esserlo.

LA PERSONA PIU’ SEXY CHE CONOSCI: Nausicaa.

L’INSEGNANTE PIU NOIOSO CHE HAI AVUTO: Quelli noiosi li ho rimossi.

LA PERSONA PIU’ ROMPIPALLE: Qualche mia ex.

LA PERSONA PIU’ STRONZA CHE CONOSCI: Giuseppe.

LA PERSONA DI CUI SEI INNAMORATO: Non credo esista.

LA PERSONA CHE ODI: Io non faccio discriminazioni, se odio, odio il genere umano nel suo insieme.

LA PERSONA CHE VORRESTI ESSERE: Me stesso.

LA PERSONA CHE INVIDI: Nessuno (hai del tabacco?)

LA PERSONA DI CUI SEI GELOSO: Ancora, non credo esista.

NUMERO: Qualsiasi.

COLORE: Indaco.

COLORE PER L’INTIMO: Nero e rosso.

GIORNATA: Fredda e soleggiata.

CIBO: Sì, ne faccio uso, con parsimonia.

BEVANDA PREFERITA: Jack Daniels. Un vecchio amore tornato alla ribalta.

STAGIONE: Autunno

SPORT: Una finzione per scaricare l’aggressività. Mi fa pietà chi se ne pasce.

VANILLA O CIOCCOLATO? Melone.

[NELLE ULTIME 24 ORE…]

HAI PIANTO?: No.

HAI AIUTATO QUALCUNO?: No.

HAI COMPRATO QUALCOSA?: No.

TI SEI AMMALATO?: No.

SEI ANDATO AL CINEMA?: No.

SEI ANDATO AL RISTORANTE?: Si.

HAI PARLATO CON UNA/UN EX?: No.

HAI SCRITTO QUALCOSA? : Stranamente no.

TI E’ MANCATO QUALCUNO?: Si.

TI E’ MANCATO QUALCOSA?: No.

HAI ABBRACCIATO QUALCUNO?: No.

HAI LITIGATO CON I TUOI GENITORI?: No.

HAI LITIGATO CON UN AMICO/A?: No.

[DOMANDE A BUFFO]

HAI MAI AVUTO UN INCIDENTE?: Si. Mi piacciono gli incidenti, li trovo divertenti.

HAI MAI AVUTO UNA FRATTURA?: Oddio frattura mi pare di no, qualche incrinatura qui e là.

DOCCIA O BAGNO? Doccia.

ODI?: Solo quando mi annoio molto.

AMI? : Volente o nolente.

COSA CAMBIERESTI DI TE? Vado bene così.

DI COSA HAI PAURA? Di vivere così a lungo da affezionarmi alla vita.

LA PRIMA COSA CHE PENSI APPENA TI SVEGLI?: È tempo di muoversi.

FILM PREFERITO?: Ultimamente ho rivalutato Dawn of the dead in versione 2004, ma la lista è lunghilllllima.

COSA C’E’ APPESO AL MURO DELLA TUA CAMERA?: Un paio di miei quadri: “La strega dell’est” e “Crisalide”.

Crisalide

DOVE TI PIACEREBBE ANDARE?: Su Marte, a osservare le stelle.

DI CHI VORRESTI LEGGERE IL TEST?: Di nessuno.

PROFUMO PREFERITO? Opium o Sandalo, per gli incensi. Non faccio uso di profumi sulla mia pelle.

FIORE PREFERITO?: Rosa nera.

COME TI VEDI NEL FUTURO? Identico ad ora.

SOPRANNOMI?: Soprache? I nomi sono identità. Tutti i miei nomi lo sono: Stefano Re, Seth Krn3ll, Skorpio.

HAI VOGLIA DI MARE?: A volte sì. Ma non mi fido.

PAURA DELLA MORTE? No. Ma lei ha paura di me a quanto pare.

A CHE ORA VAI A LETTO DI SOLITO? Quando capita.

TI VORRESTI SPOSARE?: Eh, ho carezzato anche questa scemenza per un po’. Chissà, potrei anche esser recidivo.

TI SEI MAI TATUATO?: Niente di visibile ad occhio nudo.

PIERCING?: Ma figurati.

TI PIACCIONO LE TEMPESTE?: Più sono violente più mi piacciono.

A CHE ORE HAI FINITO IL TEST? 18.42

14
Ago
09

Incubi


Olio su masonite,50×70 cm

14
Ago
09

Traffic

Pluridecorato, si merita tutti gli oscar che si è accaparrato. Anzitutto per la stupenda fotografia, che in un richiamo documentaristico ritrae una Tijuana bruciata dal sole e dalla crudezza delle relazioni in netto contrasto con una patinata, tecnologica e “evoluta” società americana. Tre storie e due società a confronto, in uno spareggio impietoso e cinicamente realista: da un lato Robert Wakefield, interpretato da Michael Douglas, alto giudice con l’incarico speciale di affrontare e risolvere il problema droga conferitogli direttamente dal Presidente degli Stati Uniti, dall’altro il poliziotto messicano Javier Rodriguez, un Benicio Del Toro al suo meglio. Entrambi motivati sia a livello personale che ideale in una lotta senza quartiere contro il narcotraffico, scontrandosi l’uno con una nebulosa di proclami e inettitudine burocratica e l’altro con brutalità e corruzione. Terza storia parallela quella della moglie di un narcotrafficante americano, dallo shock della scoperta alla spiazzante reazione, e dei poliziotti che indagano su di lei. Le storie si intrecciano in sitle telenovelas, mostrando spaccati essenziali e non privi di brutalità. Tutto è realistico, affascinante, spaventoso, estremo e quotidiano al tempo stesso: la schizofrenia un po’ ipcorcita della nostra realtà è messa a nudo con cinismo magistrale. Oltre alla sorpresa di un inedito Tomas Milian pelato nei panni di un Generale Salazar che sembra uscito da Apocalypse Now, è bello ritrovare Michael Douglas in un ruolo decente dopo una serie di boiate che facevano rimpiangere i telefilm “Sulle strade di San Francisco”. Forse poco verosimile la sua incursione disperata sulle strade, ma siamo comunque anni luce da patetici personaggi da operetta come in Basic Istinct. Benicio Del Toro si merita l’Oscar appieno:realistico, amaro, idealista, coraggioso, spaventato e disperato come un personaggio di Ellroy.

SCHEDA
Traffic
regia di Steven Soderbergh, anno 2000.
Personaggi e interpreti:
Michael Douglas – Judge Robert “Bob” Hudson Wakefield
Benicio Del Toro – Officer Javier Rodriguez Rodriguez
Tomas Milian – General Arturo Salazar
Alec Roberts – David Ayala
Catherine Zeta-Jones – Helena Ayala

Traffic su IMDB [ing]

12
Ago
09

Nuvole di Drago

C’era un monaco nel deserto, che sognava il sapore delle nuvole di drago. Sai quegli antipasti assurdi che servono sempre nei ristoranti cinesi? Quelli che sembrano polistirolo pucciato nella frittura di polpa di granchio. Fanno un po’ schifo in genere, ma quel monaco non poteva toglierseli dalla mente. Guardava le dune, la sabbia vuota e infinita che aveva appreso rappresentare la sua anima in cerca, e pensava con dolce struggimento alle nuvole di drago.
Non che non si rendesse conto che avrebbe dovuto riempirsi il cuore di pensieri più evoluti, come ad esempio cercare dio e il suo volere nelle foglie delle palme dell’oasi in cui viveva, o nel volo lontano degli stormi di uccelli migratori che ogni stagione vedeva passare, lassù, nel cielo sgombro di ogni nube e infuocato dal sole. Eppure, la sua mente dispettosa tornava sempre alle nuvole di drago.

Guardava la sabbia vuota, che però non era più vuota. C’era un puntino, lontano tra le dune, che avanzava lentamente. Il monaco lo osservò pensieroso, poi tornò ad occuparsi delle faccende giornaliere. Sopravvivere in un’oasi è un lavoro a tempo pieno. Quando il mattino fu trascorso e il pomeriggio arrivò a bruciare tutto, il puntino aveva gambe e braccia e continuava ad avanzare. Il monaco preparò un giaciglio nella capanna, perché l’ospitalità è la prima regola che seguiva. Non capitava spesso di poter accogliere qualcuno, e i segni del divino volere non vanno mai accolti a mani vuote.

L’uomo giunse all’oasi a tarda sera. Il freddo del deserto stava già calando e il monaco avvolse una coperta sulle spalle del suo ospite e gli offrì datteri e frutta. Alla luce della luna guardò i suoi occhi e vide che erano pieni di storia e di febbre. L’ospite osserva a il deserto come si guarda un nemico, il deserto non gli restituiva alcuna attenzione. Non parlarono, perché non ve ne era bisogno alcuno, e quando furono stanchi della notte si coricarono nella capanna.

Ma il sonno tardava e il monaco decise di uscire a respirare l’odore della notte. Mentre osservava il niente che non aveva confini nel nero che ricopriva il cielo e la terra, sentì il desiderio impellente e furioso delle nuvole di drago. Aveva mani forti, il monaco, abituate a spezzare rami e costruire con la pietra. Così rientrò silenziosamente nella capanna e strangolò il suo ospite.
Poi, preparò il fuoco.

Il giorno seguente, negli occhi del monaco c’era molta più storia. Nella sua bocca, un vago sapore di nuvole di drago.
Coscienzioso, rassettò i giacigli e si dedicò alle sue incombenze quotidiane.

Stefano Re © 2007

09
Ago
09

Una Mela

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Camminavamo, io e Alessandro, nel cortile di questo ristorante o pizzeria che fosse. Alessandro è sposato con Sabrina, Sabrina è la donna che ho amato di più nella mia vita. Alessandro mi chiedeva: e allora, come va? Come stai? E io rispondevo “bene”. Poi però mi fermavo, lo guardavo e dicevo: “no, non sto bene. Non sto bene per niente. Vuoi davvero sapere come mi sento?”

E lui annuiva, con sincero interesse. Ecco perché gli dicevo:

“Nasci e ti parlano di questa mela che sta nella stanza accanto. Ti dicono quanto è dolce e succosa e colorata di verde e rosso e oro sfumati e tu hai subito l’acquolina in bocca.
Così appena puoi scantoni nella stanza accanto e ti ritrovi al buio. Ma te ne freghi e dici col cavolo che mi fermano, e corri e inciampi e sbatti da tutte le parti ma te ne freghi perché la vuoi quella mela. Poi finalmente tocchi qualcosa e sei al settimo cielo, poi però ti accorgi che è dura come il granito. La carezzi e ti accorgi che ha gli spigoli. Accendi un fiammifero e vedi che è un macigno di pietra. Resti un po’ interdetto, pieno di lividi e non esattamente felice, ed è quello il momento in cui ti viene dato in mano un piccone. E allora pensi che magari è là dentro quella mela del cazzo e ti metti a menare colpi e vai avanti e avanti e avanti perché cavolo adesso hai proprio fame.
Mi hai chiesto come mi sento? Mi sento stanco, sudato e annoiato. Con un piccone in mano.”

Stefano Re ©Settembre 2007

09
Ago
09

BDSM, a domanda rispondo

– il bdsm è un gioco di potere?

Che cosa non lo è? Ho definito spesso  il BDSM come “la realtà nuda dei rapporti umani”. In ogni relazione, professionale o personale che sia, tutti quanti viviamo dei “giochi di potere”. Ai genitori si “obbedisce” o di “disobbedisce”; a scuola c’è chi sta in cattedra e chi sta al banco; il capoufficio dopotutto “comanda” ai suoi dipendenti, non meno di quanto “comandino” e “obbediscano” tutti nelle relazioni di amicizia e di amore. Il ciclo fantozziano è stato coraggioso in merito: non a caso Paolo Villaggio è stato accusato (che bello usare a proposito questa parola una volta tanto) di “masochismo” per i ruoli che ha interpretato. In ogni rapporto umano vi sono ruoli di comando e di sottomissione, semplicemente noi li ricopriamo di motivazioni accessorie: ci sottomettiamo per poter ricevere uno stipendio oppure per evitare un litigio, per ottenere un aumento o per fare carriera, perché abbiamo paura o semplicemente perché è funzionale. Nel BDSM, catarticamente, ci sottomettiamo oppure comandiamo per il puro e semplice piacere di farlo, senza scuse accessorie in mezzo. Ed ecco che ogni situazione, ogni vissuto quotidiano di dominio o umiliazione diventano fonti di piacere. Molti si stupirebbero di scoprire quanta eccitazione erotica viene vissuta da chi sceglie di subire o imporre al partner, in un clima di consenso erotico, le stesse identiche situazioni umilianti che nella vita quotidiana troviamo così insopportabili. Il BDSM è la nudità dei rapporti umani: la celebrazione delle nostre contraddizioni, e dunque il loro scioglimento.

– chi lo sceglie e perchè?

Lo sceglie chi ha la fortuna o la sfortuna di superare certe inibizioni. Lo sceglie chi trova un partner o una situazione che lo faccia scivolare dentro i propri desideri. Lo sceglie chi ha il coraggio di esplorarsi e di comunicare su ciò che scopre. Un aspetto assai poco noto del BDSM è la profondità di comunicazione che implica: le situazioni cieche, in cui chi pratica “sadomaso” viene rappresentato come uno squilibrato che cerca emozioni parossistiche per coprire una angoscia profonda sono altrettante mistificazioni del BDSM. Il BDSM è comunicazione, profonda e intima, con se stessi e con il partner. Senza di essa, diventa sterile ritualità, amplificazione dei fantasmi e in definitiva, perversione. Ma ovviamente i media sono assai più interessati a questi aspetti che al BDSM sano: i freak che vengono invitati a fare audience con le loro misere mascherine in latex a coprire il volto fanno il paio con i serial killer che torturano a morte le loro vittime: vendono un prodotto avariato, con buona pace del BDSM.

– c’è un profilo tipo?

Assolutamente no. Il BDSM è praticato da ricchi e poveri, persone di altissimo livello culturale e gente di assoluta semplicità. Se si osservano i bambini mentre giocano tra loro, si troveranno decine e decine di situazioni esplicitamente BDSM in ciò che recitano. Il piacere di dominare ed essere dominati è un appetito primitivo, archetipo e profondamente umano. La capacità di viverne i piaceri in modo adulto ed equilibrato, di imparare a comunicare su di essi e apprezzarne i significati evolutivi, ovviamente, resta una scelta di pochi.

– differenze tra Italia e resto d’Europa-mondo

Ogni società gestisce in modo proprio questi vissuti, sia nel modo in cui forma la psicologia degli individui sia nel modo in cui diffonde e rappresenta il BDSM a livello sociale. In Germania, in Francia e in Austria ad esempio il BDSM è molto diffuso, ed è strettamente legato al sesso nelle sue forme espressive. In Olanda vi sono molti club più o meno commerciali che ne diffondono le pratiche. In Inghilterra è molto più legato al fetish, al glamour o alla dominazione pura e semplice. Negli Stati Uniti e in Australia si è sviluppata tutta una cultura BDSM che approfondisce moltissimo gli aspetti tecnici delle pratiche, il modo di viverli limitando al massimo i rischi: una sorta di accademia del BDSM legata molto agli aspetti pratici. In molti paesi dell’est europeo il BDSM è quasi totalmente appannaggio del mondo della prostituzione o del prodomming, insomma un fatto commerciale. In Giappone è un vulcano in piena eruzione, tanto nei suoi aspetti più commerciali e consumistici quanto nel suo significato sociale. Meno si sa della Cina o dell’India e ancor meno dei paesi in via di sviluppo come stati dell’Africa o del Sudamerica, ma moltissimi sono i cittadini di questi paesi che partecipano alle numerose e variegate comunità online che trattano dell’argomento. In Italia si registra un interesse molto diffuso e una grande varietà di approcci, da quello più direttamente ludico-godereccio a ricerche estetiche e persino culturali o artistiche.

Ma queste sono ovviamente generalizzazioni: in ogni paese vi sono e sempre vi saranno persone di ogni età che, nel segreto della loro vita di coppia, esplorano vissuti BDSM con tanta o poca consapevolezza, con tanta o poca soddisfazione.

– numeri: esistono studi e statistiche sul tema?

Il problema coi numeri riguardo al BDSM è legato al modo in cui esso viene percepito. Molti ad esempio non considerano BDSM farsi legare al letto, o bendare il partner, mentre lo è a tutti gli effetti: il bondage è una delle quattro aree del BDSM.

A partire dal rapporto Kinsey il BDSM ha iniziato ad emergere come vissuto sociale uscendo dalla gabbia delle patologie, e moltissimi studi successivi hanno mostrato una forte presenza di desideri e vissuti BDSM nella vita sessuale di persone in tutto il mondo. Ritorna con una certa insistenza la stima di un 35% di individui che mostrino queste esplicite tendenze, e ad alcuni sembra una percentuale ridicolmente elevata come ad altri ridicolmente bassa. Certo è che vi sono approcci molto differenti a queste fantasie erotiche e ai correlati vissuti, come vi sono modi assai differenti nel catalogarle e rappresentarle. Per questo non credo sia possibile citare stime statistiche degne di credito.

– a chi lo consiglieresti e a chi no

Lo consiglierei a chiunque abbia un minimo di coraggio verso se stesso, e naturalmente abbia voglia di vivere questi desideri. Non lo consiglierei a chiunque non sappia comunicare con gli altri, a chi non sappia guardarsi allo specchio e ridere di se stesso. Non lo consiglierei a chi non sa rispettare le altre persone: il BDSM è sano e innocuo all’interno di una consapevolezza, di un equilibrio interiore e di una scelta di fiducia. Fare BDSM senza queste premesse è come fare sesso senza affetto, amore né comunicazione: può essere semplicemente squallido, o diventare qualcosa di pericoloso, per sé e per gli altri.

intervista di Monica Maggi per Linus – 2008

07
Ago
09

La musica di South Beach

Voci e ricordi di Miami a 10 anni dalla morte di Versace
di Stefano Re

Quante probabilità ci sono che un proiettile attraversi la testa di una persona e colpisca in volo un piccione? Fa un caldo soffocante a Miami. Il vento è lieve ma costante, porta odori di un oceano che non conosco affatto. Mi domando se sta arrivando un qualche cugino di Katrina.

Miami mi circonda sonnolenta e inquieta. Ho tante domande da fare, ma ci siamo appena conosciuti, sarebbe un errore forzare i tempi: aspetto immobile la sua confidenza. Dovrò osservare, e ascoltare: avrò bisogno di testimoni.  Sono qui per raccontare una storia.

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Versace era un uomo, ma non era solo un uomo. Lorenzo De Versace, o anche il Medici degli anni ’90. Il guru del Glamour, il primo stilista di moda post-freudiano. Tutti immaginano, a ragione, che diventare un mito sia un’esperienza inebriante. Pochi sanno quanto spesso diventi un’esperienza annichilente. La fama snatura le persone più deboli, le rende patetici burattini tenuti insieme dal fil di ferro delle parole scritte o dette su di loro, dagli intrighi di chi sfrutta la loro visibilità o vendibilità. Ma non si tratta solo di esteriorità: il mito divora l’uomo, l’immagine negli occhi affamati di chi guarda – e invidia persino mentre ammira, consuma l’anima dell’attore e lo plasma, lo trasforma in un’ombra di se stesso. Guardando il mare di Miami mi domando: è accaduto anche a lui?

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Di Versace so quel che sappiamo tutti: un uomo brillante, determinato, capace di sfidare il confine tra ciò che è accettato e ciò che non lo è. Tra il sacro e il profano, tra l’antico e il moderno. Lo ha fatto negli anni ‘80, con sadomaso girl, una collezione che aggrediva il tabù dell’immagine proibita, trasfigurava quegli stivali e quei frustini consacrati all’inconscio collettivo dalle pagine di Sacher Masoch e del Divin Marchese, trascinandoli a forza fuori dalle mura scrostate e umide di un bordello e dei sogni proibiti dell’uomo medio, per esporli in passerella trasfigurati, rinnovati e resi dolci allo sguardo. Lo ha fatto fondendo eleganza e sportività nel vestire, giocando sul femminile nel maschile e sul maschile nel femminile. Lo ha fatto vivendo in case rinascimentali affollate di quadri di Picasso e spostandosi in Concorde, scivolando nel tempo che arredava attorno alla sua vita con la stessa scioltezza con cui scivolava sui tessuti in cerca della piega corretta, della cucitura perfetta. Lo ha fatto riassumendo in sé le contraddizioni di un’era.

Non sono parole mie, lo ha detto proprio lui: “Sono la sintesi della mia epoca.”

Insomma, un mito. Il mito tutto italiano dello stilista di moda, trasgressivo e audace, raffinato e provocatorio. Un mito che è uscito dai suoi confini per diventare globale, tanto simbolicamente quanto concretamente. Da Reggio Calabria, lasciando gli studi e sfidando l’ira paterna arriva a Milano, e di lì Parigi, Mosca, Bruxelles. E naturalmente, America. Il sogno italiano attraversa il pianeta, e lo colora di sé.

Ma tutto questo lo sapevate già. Io ora devo conoscerlo. Per raccontare la sua morte, devo conoscere la sua vita. Sono stufo di leggere cosa altri hanno detto di lui, vado a incontrarlo faccia a faccia. Guardo a lungo le foto. L’obbiettivo di Avedon lo ha ritratto come un dio greco. Osservo i filmati, voglio vedere come si muove. Sul monitor a cristalli esce dalle quinte, è sulla passerella. Ecco, passa un braccio attorno alle spalle di una modella. Cerco il movimento studiato, l’ebbrezza e il nudo compiacimento, ma non li trovo nei suoi gesti o nei suoi occhi. Si muove cauto, mantiene stabile il suo centro mentre calca la scena. Non c’è fil di ferro a tenerlo in piedi: è rimasto un uomo. Il fermo immagine non lo coglie, ma il movimento sì: nello sguardo il lampo di forza di chi vede oltre, e quel sorriso insieme compiaciuto e mesto di chi si è realizzato e sa quanto costa, quanto peso porta con sé. Non è modesto, il suo sguardo, ma non è arrogante: è diretto e pacato insieme. Mostra la forza di una vita in prima linea, senza troppi sconti, e delle cicatrici che comporta. Il braccio sulle spalle della modella, guarda oltre la gente, oltre i flash. Guarda se stesso, per questo sorride. Lo osservo e capisco: quest’uomo raccontava, perché aveva sé stesso da raccontare. Non stava sotto i riflettori per farsi raccontare dagli altri. Nessun fil di ferro a tirargli il sorriso: Versace stava in piedi da solo, nonostante la fama, nonostante l’appetito del mondo.

Spengo il monitor, guardo giù dalla finestra. Sulla strada dei bambini giocano con pistole finte. Bang bang, sei morto. Gli occhi voraci del mondo dovranno accontentarsi di divorare cibo a buon mercato.

Dovranno accontentarsi di Cunanan.

**

Cunanan. Serial killer, o Spree Killer per i tecnici. Un individuo vuoto come un buco nero, che cercava il riflettore per riempirsi e sentirsi vivo. È l’associazione mentale a portarmi a capire: il cibo andato a male fa fare brutti sogni: Cunanan è il prototipo del sogno americano gone berserk, della rincorsa al successo come risposta esistenziale compulsiva. L’affermazione a tutti i costi che diventa patologia, disperazione e infine violenza. Il sogno si corrompe, diventa incubo. È l’incubo americano a uccidere il sogno italiano. È un buco nero senza fondo, un panino di McDonald andato a male nella sua carta oleosa a puntare la pistola contro l’uomo talmente pieno di vita ed energia da restare fedele a se stesso persino all’apice della fama. Miami ha visto la tragedia di questo incontro, quindi Miami ne deve portare il ricordo nel suo ventre. Ascolto ancora il vento, mi sforzo di farmi sottile per sentire cos’ha da raccontarmi. Ma non sono uno sciamano: se voglio sentire qualcosa, devo uscire da questo albergo, in caccia di testimoni.

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Miami ha le sue zone. North Miami costa meno. In centro, a  Downtown c’erano gli homeless, i barboni. Li hanno cancellati per decreto, ora ci sono uffici e banche, grattacieli e alberghi per manager. Le Islands: Star, Ibiscus e Palm, è dove comprano casa i divi. Cinema, sport, televisione, lo star system costruisce ville barricate contro i paparazzi. Poi ci sono le spiagge. Versace aveva casa a South Beach, sulla Ocean Drive, il lungomare dove tutti, importanti e sconosciuti, passeggiano sperando nel vento oceanico per alleviare il caldo soffocante. Ancora una contraddizione: Versace voleva stare tranquillo, ma prende casa nel punto piu’ vivo di Miami. Ed è lì che muore.

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Quando si è sparsa la notizia, la città tutto attorno è rimasta attonita a guardare. La televisione ci racconta il suo cambiamento, disegna lo spartiacque. Negli anni ‘80 Miami Vice mostrava volonterosi poliziotti in maniche corte capaci di fermare i narcotrafficanti più con la buona volontà che con le pistole. L’omicidio di Versace ha concluso quell’epoca: oggi impazza CSI Miami: la celebrazione della tecnologia per sfuggire all’insicurezza, alla sfida di un crimine incomprensibile, incontrollabile, al veleno delle zanne del sogno americano che diventa l’incubo americano. Sparando a Versace, Cunanan ha mostrato che nessuno è salvo, che non serve alcun motivo per uccidere, che nessun sogno è al sicuro. Ipotesi: l’omicidio di Versace è stato l’11 settembre di Miami?

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È stato una bomba, nella città. Erano tutti scioccati, dice il tassista. Sembra appassionato, azzardo qualche domanda in più: e’ cambiato qualcosa, dopo? “Beh, certo. Molta più sicurezza”. La gente aveva paura? “E di che cosa? Quel tipo, Cunanan, lo hanno arrestato no? Sono sicuro che e’ ancora in prigione”. Forse dovrei ricordargli che Cunanan è morto. Meglio lasciar perdere.

Ocean Drive: il caldo è un abito attillato. Palme nella striscia di parco tra la strada e le spiagge. Non si vede il mare dalla strada: collinette di sabbia di quattro metri fanno barricata. L’oceano non è addomesticato come il Mediterraneo, va tenuto a bada. Molta gente lungo la camminata, bar, ristoranti, una musica nota. La polizia sconsiglia di andare sulle spiagge la notte. Brandon, 37 anni, l’ha fatto ed è stato pestato e rapinato da quattro ispanici. Gli hanno rotto le gambe per 40 dollari. Del resto, se hanno sparato a Versace.

Barbara arredava interni. È arrivata a Miami diversi anni fa, ha chiesto consiglio ad un avvocato per il suo visto in scadenza e non ha più lasciato la città. Mi racconta di una visita a Casuarina, dopo Cunanan, prima della vendita e riconversione. Mi parla di un sapore di acienda, contrasti ricondotti alla linea con grazia. Immensi mosaici a colorare le pareti dei bagni, saune romane per novelli imperatori. Una casa fuori del tempo di Miami, mi dice. In che tempo esisterebbe, secondo te? Ci deve riflettere qualche secondo sopra: “Non puoi dargli un’epoca. Ha uno stile troppo eclettico”. Ma un trait d’union tra i diversi stili di quella casa? Lui, Versace. La sua vita. “C’era un maggiordomo a farmi visitare la casa. Mi raccontò di Gianni che restava alla finestra, per ore, a guardare le persone che caminavano lungo la passegiata a mare, fuori dai vetri”. Così esposto, così riservato. Lui era il trait d’union del caos di epoche della sua casa.

Sto inseguendo un fantasma. Mi siedo sui gradini, passo le dita sulla pietra ancora tiepida di sole. L’occhio da criminologo cerca un’ombra delle macchie, segue le fessure per un frammento di sangue secco. Neppure il DNA sarebbe riconoscibile dopo dieci anni, e a trovarlo, non ci direbbe niente di più di quanto già sappiamo. Non c’è niente qui, la pista è fredda. Su questi gradini Versace è stato ucciso, ma non c’è traccia di lui: le sue orme le ha lasciate altrove, e io sono qui per trovarle. Gli uomini più piccoli lasciano le loro tracce nell’asfalto o nella sabbia, gli uomini più grandi le affidano agli occhi, al cuore e all’animo degli altri uomini. Abbandono la scena del crimine, la morte non ha niente da raccontarmi su Versace. Devo cercare la vita.

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Al Palace Bar, Randy mi racconta che Miami è cambiata. Tutto è cambiato. Era necessario, succede dovunque: all’inizio è un posto dove si crea una atmosfera speciale, poi tutto diventa commercio, tutto vuoto, senz’anima. Ha conosciuto Versace, di vista. Tutti potevano conoscere tutti allora: ok, lui era Versace, ma non lo faceva pesare a nessuno, e nessuno lo trattava in modo diverso. “Un pomeriggio abbiamo giocato insieme a volley in spiaggia. Credo stesse bene qui per questo, poteva essere una persona qualsiasi. Dopo che è stato ucciso, tutto è andato in malora molto velocemente. Folle di turisti morbosi, giornalisti in cerca di scoop, e poi un commercio sempre piu’ spietato, stereotipato”. L’anima di South Beach è svanita con Versace.

Parlo con Thymoty e Richard. “Versace ha fatto molto per Miami, e per South Beach. Promuoveva la moda, gli eventi, finanziava fondazioni e associazioni. Poi era una fonte di ispirazione, di stile. Una persona regolare, tranquilla. Era molto generoso, e non ostentava per niente la sua ricchezza. Quando la notizia si è diffusa, ho visto persone scoppiare a piangere per la strada. Gli volevamo bene, lo sentivamo uno di noi, e in un certo senso ci faceva sentire uniti. La cosa assurda è che dovunque andasse nel mondo era sempre accompagnato da guardie del corpo. Solo qui non teneva nessuno a distanza: voleva sentirsi normale, e lo era. Per questo quel matto ha potuto avvicinarsi così tanto”. E dopo? Che cosa e’ cambiato, dopo? I turisti: fanno la fila, per fotografarsi davanti alle scale di casa sua.

Qui, e’ successo qui.

Li ho visti anche io. Due gruppetti, niente fila, erano le nove di sera. Foto sugli scalini, davanti alle inferriate. Il cancello doveva essere aperto. Uno dei ragazzi è entrato, sporgeva la testa tra i battenti, faceva le boccacce alla telecamera.

Una infamia. Hanno reso la sua morte uno show. Turisti in fila, c’era chi veniva qui solo per farsi vedere dai fotografi. Il barista del Palace scuote la testa: “Era diventato un circo insopportabile. Mi ero messo un cartello al collo, con su scritto no comment”. E di Versace, che cosa ricorda? “Un uomo gentile, passava ogni tanto a prendere un drink. Non si faceva notare”.

Non e’ stato il proiettile, mi spiega Thimoty. Il piccione, non lo ha ucciso il proiettile. Sono state le schegge dei gradini. Il proiettile ha colpito i gradini, e le schegge hanno ucciso quel piccione. Niente pallottole magiche per Versace, quelle son riservate a JFK. Neppure un proiettile originale, atipico. Soltanto le schegge dei gradini, e un piccione che ha scelto il giorno sbagliato per farsi un giro alla Casuarina. Il piccione c’è rimasto, la poesia è volata via.

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Tony Magaldi è il proprietario del News Cafè. Ogni mattina, Versace passava da lui a comprare quotidiani e riviste. Sorride stancamente alle mie domande: sono dieci anni che gliele fanno. “Era una persona tranquilla, sobria e riservata”. Ci metto un po’ a rompere il ghiaccio, alla fine si scioglie. “Non è una cosa carina da dire, lo so, ma Versace ha fatto di più con la sua morte che con la sua vita per South Beach”. Finché era vivo, c’erano feste e artisti, ma nessuno ne sapeva niente. Dopo la sua morte tutti i media del mondo sembrano essersi accorti di South Beach. Tutti ne hanno parlato, e tutti hanno voluto venire a vedere questa strada, questo pezzo di Miami. Gli alberghi sono sorti come funghi, e così i club, i ristoranti.

Rosario Corrao, Chef, da Napoli al Pelican, South Beach, Miami. Cucina bistecche, insalate e paste da favola, adora Miami e non ha mai conosciuto Versace. “Sono arrivato dopo. In America è così: succede un problema, bum, è storia. Certo, resta il ricordo, ma è storia. Qui guardano al futuro”. Emanuele mi racconta di una vecchia. Lei viveva sulle barche, dieci anni fa. Mentre aspettavano di venderle, le affittavano per una inezia. Oggi ti sveneresti per vivere alla Marina. Le parole della vecchia: “Ne ho visti salire di grattacieli. Qui c’erano tre ristoranti in tutto, due alberghi, il porto. South Beach era fatta di pescatori”.

Pescatori e celebrità in incognito, a quanto pare. Ma io voglio tornare su Versace: insomma, una impronta, un ricordo, non c’è? Nel mondo gay, secondo Emanuele. “Loro lo ricordano molto, rappresentava il loro gruppo”. Ma vestiva donne, Versace, gli ricordo. Donne mascoline, dice Emanuele. “Insomma, abiti per uomini che volessero sentirsi donne”. Il mondo gay. Strano, a me Versace appare eclettico, senza limiti, senza tribù.

Paolo ha un quadro molto chiaro di South Beach. “Nei ‘90 era in fermento: modelle e fotografi selvaggi, traffici di droga e rifugiati cubani, artisti e naturalmente Versace. La sua morte è stata la perdita dell’innocenza di questo eden in gestazione. Versace ha avviato un processo che era stile, moda, glam: avviando la sua Casuarina  sulla Ocean ha dato un’impronta unica a South Beach. È stata la sua vita a farlo, non la sua morte. Eppure ormai tutti ricordano la sua morte, nessuno la sua vita. Qui poteva essere Porto Cervo, ed è diventata Ibiza. Dopo la sua morte, e anche di più dopo l’11 settembre, il turismo europeo è diminuito. Per reggere, alberghi e club hanno abbassato molto il livello della loro clientela”.

George, barista, è sintentico: prima di Versace la moda era un colore, due colori. Lui ha portato un arcobaleno.

Khalil porta il taxi sulle rampe di Miami da 12 anni. “Versace ha portato la moda, la bella gente. Senza di lui, South Beach non esisteva proprio. Penso non si possa vivere a Miami e non ricordare chi era Versace, che cosa ha significato”. Mettiamo alla prova l’opinione di Emanuele: sei gay, Kahlil? “No no, io sono sposato, con una italiana. Ma non ricordo Versace come un gay, lo ricordo come un protagonista, un benefattore di questa città. Non c’erano case sulla Ocean Drive, lui ci ha messo quella sua, bellissima. Ha illuminato South Beach, ha portato stile e qualità. È stato un peccato che l’abbiano venduta, dopo la sua morte. Versace ha ancora oggi il suo peso, il suo valore. Verrà ricordato per sempre”.

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Lo ricordano i gay, per ragioni tribali. E lo ricordano coloro che lo hanno conosciuto, che hanno vissuto una Miami pescatora e sobria, stravagante ma dotata di una sua anima. La popolazione della Miami del nuovo millennio non sembra avere granché bisogno di Versace, o del suo ricordo. Giusto i turisti del macabro, le foto di cattivo gusto sulla scalinata dove e’ caduto.

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He’s still around, at times. Mi guardo attorno un po’ dubbioso. C’è gente che continua a vedere Elvis, dopotutto. Eppure, eppure. Se non ha potuto ucciderlo la fame negli occhi del mondo intero, può esserci davvero riuscito un proiettile?

Miami mi si è fatta appresso, mi ha sussurrato nell’orecchio la sua musica. Ed eccolo, infine, Versace. Cammina con me lungo la Ocean che ha amato, quieto, invisibile ai più come ha voluto esserlo qui da vivo.

Ora posso salutarlo, e tornarmene in Italia.

Imparo a salutare il mito.

Vanity Fair, 2007




Stefano Re

Questo Blog raccoglie racconti, riflessioni, illazioni, delazioni e deliri di Stefano Re.

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